Il ponte dei Santi a Istanbul

di Cinzia Rita Gaza

I primi due giorni

Sono a pancia in giù sul letto, a cercare di riprendermi dopo la seconda giornata a Costantinopoli/Bisanzio/Istanbul. Sarà che andare in tre città contemporaneamente affatica… Il nostro hotel, nonostante la piscina sul roof, è piuttosto modesto, decisamente inferiore alle aspettative. Ma la prima colazione è interessante.
Sono le otto di sera e tra un po' andiamo a ballare. La cena è stata brillantemente risolta con un five o'clock fish, ovvero con una merenda cospicua: acciughe fritte e branzino alla piastra consumati sotto un tendone al mercato del pesce, ai piedi del ponte di Galata, talmente bello che da solo vale tre moschee. Intanto si è scaricato un bel temporale. Fino a quel momento il tempo è stato molto generoso: due giorni a girare in t shirt è più di quanto ci si potrebbe aspettare.
Dopo una breve notte in hotel (siamo arrivati ben oltre mezzanotte), ieri abbiamo battuto a tappeto Beyoglu (anticamente Pera), il quartiere degli europei quando l’Europa poteva tirarsela. Case europee boriose e arroganti disseminate tra case turche fatiscenti, sul lato nord del Corno d'Oro, dove c'è la torre di Galata. Un quartiere mari e monti, che sale e scende in picchiata. Tendini delle ginocchia incandescenti, anche perché perdersi è un'attività in piena
espansione, il che comporta fare un sacco di strada in più del necessario. Pieno di deliziosi passages con negozi e caffè. Lo shopping è decisamente arrapante: botteghe di giovani stilisti locali che vendono capi veramente creativi a prezzi ridicoli.

Muoversi in questa città, seppure con tram efficientissimi, è improbo. L'ora di punta, poi, è un'emergenza nazionale, roba da protezione civile. Napoli al cubo. Oggi abbiamo spuntato dalla lista Santa Sofia, la Moschea Blu solo di fuori e la Moschea di Solimano. Essendo venerdì, c'era tutto un vociare di muezzyn, anche se bisogna dire che qui tira un'aria piuttosto laica. Abbiamo rinunciato alla Moschea Blu per via della coda immane che si è formata nel momento in cui,
finita la preghiera, si poteva cominciare a entrare. Domani ritentiamo. Il problema del turismo qui è che, oltre ai soliti torpedoni che scaricano umani a multipli di 50, ci si mettono anche le costacrociere che li scaricano a
multipli di 3000. Allora siamo andati a fare shopping al Bazar delle Spezie. In capo a mezzora avrei consegnato tutti i miei averi pur di uscire da quell'inferno. Un carnaio indescrivibile, un bordellone inconcepibile. Ma assolutamente imperdibile.
Insomma, non è esattamente una città ad alta qualità della vita, ma è molto fotogenica e indubbiamente affascinante e, dettaglio non irrilevante, si mangia gran bene.


Terzo giorno

La movida notturna di Beyoglu fa sembrare piazza Vittorio un posto da asceti in meditazione. Musica di ogni specie si sovrappone a volume oltre il livello di guardia. Ho scambiato il rombo di un cassonetto trascinato sull'acciottolato per una performance di percussioni. Nel mezzo di quella sarabanda, ieri sera siamo abbiamo trovato il locale dove si ballava tango
argentino e abbiamo ballato un po'. Stasera stesso quartiere e stessa sarabanda a mangiare kebap (con la “p”, siamo in Turchia) in un locale su tre piani più terrazza, tutto cristalli, stucchi e ori. Un kebabbaro che però sembra l'Hotel de Paris di Montecarlo. Il kebap era imperiale.
Abbiamo finito di mappare il territorio. Santa Sofia è immensa e misteriosa, la Moschea Blu è molto elegante, la Moschea di Solimano è armoniosa e complessa. La Cisterna Basilica (quella di 007 dalla Russia con amore) è davvero suggestiva.
Il palazzo Dolmabahçe è uno strabiliante trionfo del kitsch. Stamattina abbiamo scandagliato il Topkapi, che ha più o meno le dimensioni della provincia di Cuneo. Abbiamo visitato le stanze del tesoro letteralmente compressi nella folla, come sardine nel barile. I giardini e l’harem erano un po’ meno packed, ma la densità di turisti per metro quadro, soprattutto russi, ha superato il livello critico.
Restava solo il Gran Bazar, che è un bazar per giunta, ça va sans dire, grande. Sappiamo come siamo entrati. Abbiamo lasciato una via piuttosto elegante, sceso una stradicciola, rasentato una moschea. Poi siamo passati sotto un arco con
tanto di scritta da terzo canto dell’inferno sull'archivolto. E siamo stati inghiottiti da questo viluppo di vie coperte e tortuose. Un'esperienza cromatica e sonora davvero psichedelica. Uscirne non è stato facile. Bella esperienza, però.
Il traffico è un delirio a qualsiasi ora. Fulvio dice che ha letto che la Turchia è ai primi posti al mondo per incidenti d'auto. Non si fatica a crederlo. Tutti passano con il rosso a tutto clacson. Mai visto pedoni tanto imprudenti e impudenti. Attraversano col rosso strade a scorrimento veloce anche con carretti, valigie, carrozzine, provocando stridore di frenate e sfiorando tragedie.
Dopo il tramonto si è fatta l’ora dell'hammam. Non si può lasciare la città senza un bagno turco, che abbiamo espletato in uno stabilimento del XVI secolo. Bellissimo, ma rigurgitante di carne turistica, tutti come noi alla ricerca di atmosfere perdute. Non ci si può fare niente, è il turismo di massa, bellezza!


Quarto giorno

Le rotule rotulano e rimbalzano in libertà. Questa città è un diabolico ininterrotto saliscendi ripidissimo, con marciapiedi e strade (se mai la demarcazione tra i due fosse apprezzabile) con sconnessioni da Scala Richter. Per giunta, il trasporto merci avviene in buona misura su carretti a due ruote che, in discesa, sono a stento rallentati dai trasportatori. Frenare,
non se ne parla, non ci provano nemmeno. In altre parole, bisogna prestare massima attenzione ovunque e sempre.
La notte viene equamente spartita. Quando l'ultimo dj spegne l’amplificatore, attaccano i muezzyn. All'alba la Turchia kemalista cede il passo a quella islamica.
La convivenza dei due mondi, comunque, è autentica. Non è raro vedere gruppi di ragazzine che, come tutte le adolescenti del mondo, vanno in giro ridacchiando, alcune in jeans o minigonne, altre con il foulard e gli abiti tradizionali, insieme come se niente fosse. Per inciso, si vedono in giro donne in abiti tradizionali bellissime ed elegantissime.
Oggi Asia. Un sea bus al prezzo del tram ha attraversato il Bosforo e ci ha portati in un quartiere decisamente genuino, popolare. Zero turisti, salvo noi temerari. Una lunga salita fino a una certa moschea è stata premiante. La moschea in sé non era niente di che, ma l'atmosfera era ok. Un gruppo di donne velate preparava una specie di picnic nel cortile della moschea ridendo e chiacchierando. Gli uomini bevevano caffè ai tavolini, torvi, in silenzio.
Dopo un’epica e squisita mangiata, costata 11 euro in due, ci siamo piazzati davanti all'isola della Torre della Fanciulla, (altra location di 007, Il mondo non basta). Lì c'è una cosa molto singolare. Nel dislivello tra il piano-strada-passeggiatammare e il mare, ci sono dei gradoni di qualche decina di metri in lunghezza, tipo stadio, coperti di tappeti e cuscini, dove ci si tolgono le scarpe e si sta a fare flanella bevendo caffè e guardando l'incredibile traffico di petroliere, portacontainers, mercantili e passeggeri di ogni stazza che si infila nel Bosforo. Io ho ordinato un caffè turco, secondo la massima “fai in Roma ciò che fanno i Romani”. Fulvio ha ordinato un'orange juice. Stupido turista! Gli è stata servita una tazza da tè piena di Fanta fumante, con tanto di cucchiaino e zolletta di zucchero, casomai non fosse stata abbastanza dolce. Ne ha bevuto qualche sorso, per buona educazione. È comunque un fatto straordinario trovare un posto al mondo che ancora non ha dimestichezza con le lattine di bibite gassate e zuccherose. Al di là dell'inconveniente, la location era di prima qualità. Abbiamo visto il sole abbassarsi dietro i minareti di Santa Sofia e il Topkapi. Oh, yes.
Per inciso, sono stata letteralmente presa a pesci in faccia. Sì, perché la metà maschile dei 17 milioni di abitanti di Istanbul sta con una canna da pesca in mano su qualsiasi ponte o riva del Bosforo e del Corno d'Oro. Anzi, sul ponte di Galata i pescatori a lenza vendono le acciughe ai passanti dentro a bicchieri di plastica. Orbene. Camminavo per la mia strada quando un'acciuga recuperata e staffilata dalla lenza mi ha accarezzato una guancia. Chissà, magari fa bene alla pelle.
Ora siamo in camera per docce e cambio. Che vi pensate, stasera si va a ballare! E a mangiare ancora una volta le acciughe fritte.


Quinto giorno

Zona wi fi dell’aeroporto di Francoforte, in attesa del volo per Torino. Ieri serata di gloria. Dopo le acciughe fritte al mercato del pesce, siamo andati a ballare tango in un locale di Pera. Sesto piano di un palazzo a metà della collina, una parete interamente vetrata con vista su Corno d’Oro e Topkapi by night. Visione mozzafiato.
Il tango argentino a Istanbul va forte e non da ora. Lo stesso Mustafà Kemal, padre della Turchia moderna, ne era un grande appassionato e ne ha diffuso la pratica.
I Turchi sono veri gentiluomini all’antica: invito con inchino, baciamano. Un ballerino mi ha molto gratificata con un «You’re fantastic, madam». Fulvio è stato invitato da una signora che si è presentata con una risatina birichina e una mano protesa. Come se la buona educazione europea fosse migrata ai suoi confini.
Stamattina bagagli e ultimo giretto nel quartiere. Pieno di negozi di abbigliamento, tutti con finte griffes italiane. Ho trovato particolarmente esilarante la boutique monomarca Armando Diaz. Pasticcerie piene di dolcetti che farebbero la fortuna di un’armata di dentisti.
Fulvio ha un radicato rifiuto per i taxi. Sostiene che rischiano di rimanere imbottigliati nel traffico, che tram più metro è meglio, più sicuro per la tempistica. Il problema è salire e scendere le scale dei sopra o sottopassaggi trascinando i trolley, appesantiti da uno shopping smodato. Che farci? L’ho sposato…
L’aeroporto Atatürk richiama bruscamente alla realtà geopolitica della Turchia, paese moderno, con tutte le sue contraddizioni, confinante con l’area magmatica del Caucaso e del Medio Oriente. I controlli sono imponenti e minuziosi, non solo all’imbarco ma anche all’ingresso stesso dell’aerostazione.
L’ultima immagine che mi porto dietro è quella del gate accanto al nostro: decine di pellegrini vestiti di bianco, diretti alla Mecca…

 
Qualche consiglio

Il periodo
Istanbul è rovente d’estate e gelida d’inverno. Ergo, i periodi migliori sono maggio e ottobre

Dormire
Il consiglio è quello di cercare l’hotel a Beyoglu. Ce ne sono per ogni tasca. Il quartiere è servito benissimo dai mezzi pubblici per Sultanahmet, in cui c’è la maggior parte delle cose interessanti. Ma la sera conviene trovarsi a Beyoglu: i ristoranti, i locali, la movida, lo struscio sono lì.

Mangiare
La gastronomia turca è ricca ed eccellente. In molti ristoranti le cose cucinate sono esposte in vetrine. Indicare con il ditino risolve eventuali problemi di comunicazione.
Non mancate di mangiare al mercato del pesce, accanto al ponte di Galata dal lato di Beyoglu: tavoli sotto un tendone, pesce ottimo, freschissimo e molto cheap in una cornice davvero suggestiva. Da non perdere anche il kebap da Konak Kebap, che si trova al n. 519 di Istiklal Caddesi, la via centrale (e bellissima) di Beyoglu. Lo street food è, invece, vivamente
sconsigliato per ragioni igieniche. 

Shopping
Se vi piace l’artigianato tradizionale (io non ne vado matta) al Gran Bazar troverete qualsiasi cosa. Io ho messo in valigia alcuni teli da bagno tipici da hammam (asciugano benissimo!) e una serie di sciarpe. Al Bazar delle Spezie ho fatto il pieno di curcuma, fichi secchi e saponi. La città è piena di pasticcerie che vendono confezioni di lokum, che provocano la carie istantanea ma sono molto belli. Infine, a Beyoglu, mettete il naso nei negozietti di abbigliamento: si possono portare a casa bellissimi capi a prezzi sbalorditivi.